Il paese sull’orlo del precipizio [FOTO]
Il termine Roghudi deriva dal greco Richùdi e significa “rupestre”, come si volesse indicare l’ambiente in cui è stato costruito. La vecchia Roghudi sorge su uno sperone roccioso che come un’isola si innalza sulle bianche ghiaie dell’immenso letto della fiumara Amendolea . Tutto l’abitato è in posizione precaria, con le case edificate sull’orlo di precipizi, sovrastato dalle grandi masse del Monte Cavallo, il quale raggiunge i 1331 metri di altezza. Nel 1084 apparteneva al feudo di Bova ma verso la fine del XII° secolo passò a far parte dello Stato dell’Amendolea. Nel 1624 dal Casato dei Mendoza veniva venduto ai Ruffo di Scilla rimanendo sotto il loro dominio sino al 1806. Vi si arriva partendo da Melito Porto Salvo dirigendo verso Roccaforte del Greco e superando questa ultima, con una discesa di altri 8 Km, la distanza complessiva è di 38 Km. Un posto, la vecchia Roghudi, dove a quattro anni si incominciava ad apprendere l’arte della pastorizia e dell’agricoltura, sacrificando le possibilità di crescita culturale che si poteva conseguire frequentando la scuola. Solo i corsi serali organizzati dagli insegnanti del tempo, permettevano di superare, in parte, lo stato di analfabetismo in cui si trovava la popolazione roghudese. Così la vita degli abitanti di Roghudi, come del resto quella di altre popolazioni limitrofe, è andata avanti per secoli usando come veicolo di comunicazione una lingua particolare, un misto di greco arcaico antico, bizantino e moderno con l’aggiunta di lemmi di altre popolazioni dominatrici, che è sopravvissuta, quasi integralmente, fino alla prima metà del XX secolo, quando ancora si potevano incontrare delle persone che non sapevano comunicare in nessun’altra lingua se non in quella greco calabra o grecanica com’è stata chiamata dagli studiosi di glottologia.
Roghudi, insieme ai paesi dell’area grecofona odierna (Condofurì con Gallicianò, Bova, Bova Marina e Roccaforte) sono centri in cui ancora si può ascoltare il dolce suono di quella lingua in lenta decomposizione, fu casale di Amendolea, centro importantissimo, prima che quest’ultimo decadesse e tutti i paesi passassero sotto l’influenza culturale, giurisdizionale e religiosa di Bova, la Chora. In quest’area le funzioni religiose si celebrarono col rito bizantino abolito nel 1572. È indubbio che in tempi lontani anche in luoghi così sperduti, la presenza del monachesimo bizantino (orientale) fece sentire la sua influenza sia dal punto di vista linguistico che da quello religioso. Sono presenti nella lingua grecocalabra termini religiosi bizantini e diversi toponimi traggono origine da nomi di santi italo-greci come: Ajìa Caterìni, (Santa Caterina), Jennilìa (Sant’Elia), Jendonàto (San Donato), Jennicòla (San Nicola), Ajia Trada o Triàda (Santa Trinità), Camundulìa (Campi di Elia).
Alla fine del secondo conflitto mondiale, molta di quella gente che era vissuta di stenti, prima per le scarse risorse economiche, poi a causa della guerra, decide di emigrare. In particolare i giovani che avevano vissuto l’esperienza del conflitto. Così incomincia il lento, inesorabile deteriorarsi della lingua greco-calabra e di usi e costumi che conservavano, alcuni di essi, origini omeriche e pre omeriche e a essere sostituiti da altri, al pari del linguaggio. Comincia così il lento, continuo, progressivo svuotamento demografico che si concluderà in modo definitivo, in tempi diversi, con l’alluvione del 1971-72. L’alluvione del Settanta rappresentò il peggior momento della storia di Roghudi e Ghorio, in quanto, dopo secoli di resistenza presso i vecchi centri abitati, gli abitanti furono costretti ad andarsene, causa le frane inarrestabili. Così il sedici Febbraio del 1971 il Sindaco pro-tempore Angelo Romeo, firmava l’ordinanza con la quale imponeva lo sgombero di tutte le famiglie presenti a Roghudi, per pericolo di frane e di conseguenza per salvaguardare l’incolumità pubblica dei residenti. Per questi motivi tutti gli abitanti del vecchio borgo di Roghudi, furono costretti a stanziarsi nei comuni limitrofi , sembrava inesorabilmente una comunità destinata alla disgregazione, ma il senso di appartenenza, la voglia di ricostruzione di tutta collettività fu tanta , tantoché, dopo tante diatribe per individuare il suolo per la ricostruzione del nuovo centro abitato, che l’amministrazione comunale guidata dal Sindaco pro-tempore Luciano Maesano individuò a Melito di Porto Salvo in località San Leonardo, e grazie alla concessione dell’amministrazione comunale di Melito Porto Salvo guidata dal Sindaco pro-tempore Antonino Familiari, il 4 luglio del 1981 venne posta la prima pietra per la ricostruzione de “La nuova Roghudi”.