Resoconto di una lezione
Quando Matteo Salvini fa credere ai microfoni della stampa di aver ricevuto solo insulti da parte del Presidente del Consiglio, è evidente che abbia terminato qualsiasi argomento credibile che deponesse a suo favore.
Giunto in aula, dopo aver presentato la mozione di sfiducia al Governo (il suo), ha subìto la lectio magistralis del Professor Conte, ancora appellato, quasi ridicolmente ormai, “avvocato degli italiani”, reo di aver tenuto un discorso ineccepibile, che comprendeva anche lezioni di diritto costituzionale e di un lontano anni luce “galateo” istituzionale, che è, inutile dirlo, doveroso rispettare quantomeno in un’Aula di quel peso. Se il profondo studio e le conoscenze della legge non possono essere sciorinate per sostenere al meglio le proprie tesi neanche all’interno del Senato, ed anche qui derise da chi campa di ignoranza, vuol dire che la politica è finita, vinta, appunto, dal troglodita di turno.
Di colui che ha passato le scorse settimane a far campagna elettorale ad italiani in vacanza, con la convinzione di giungere ad una votazione e di vincerla, forte delle percentuali che ai sondaggi lo vedono (o, più probabilmente, lo vedevano) alla soglia del 40%, ciò che spaventa non è solo l’ignoranza istituzionale, come la chiama gentilmente Conte, ma anche l’ottusità di una persona che non ha interesse ad apprendere ciò che si tenta in tutti i modi di insegnargli.
Da un discorso in cui chiunque avrebbe potuto imparare qualcosa di importante per se stesso e per il proprio lavoro di politicante in ascesa, il capo della Lega non è neanche riuscito ad estrapolare ciò che realmente è stato detto, anzi, ha fatto orecchie da mercante e ha continuato ad intortare i suoi seguaci con lo slogan, quanto mai démodé, del “prima gli italiani”.
Ebbene, la speranza è che tutti gli italiani, armati di telefoni e social, abbiano ascoltato fino in fondo le parole di Conte, il quale ha chiuso con un’ode all’Italia, alla sua cultura e alla sua grandezza, e che abbiano compreso, quindi, la pochezza di cui è fatta la dialettica Salviniana. È un dispiacere essere costretti a far notare all’”amico” Matteo che sì, il Presidente ha parlato del Bel Paese, e continuare questa sommossa contro il Governo, dopo che ogni punto della sua politica e del suo modo di farla è stato buttato giù, è ridicolo e sconveniente. Questo perché, anche chi ha votato Lega avrà capito che ormai può solo inventare poveri stratagemmi per uscire pulito da una situazione scomoda in cui si è infilato da solo e in cui ha infilato tutta Italia.
Con i suoi giochetti da bambino testardo, che da un discorso intelligente non impara, ma piange e si dimena, poiché difendere la propria faccia e i propri slogan è più importante che imparare qualcosa ed iniziare, finalmente, a difendere gli italiani, si è mostrato per quello che è, ossia l’immagine perfetta di una politica alla deriva, scandalosamente irrispettosa e disinteressata alle esigenze del nostro Paese.
Conte ci ha ricordato che un dialogo leale tra avversari politici è l’unico mezzo per realizzare gli interessi dell’Italia e che gli attacchi sui social sono inutili e superflui quando di primaria importanza rimane il bene del Paese.
Ci ha ricordato, ancora, che la cultura e la dignità un tempo facevano parte della classe politica e, considerato che gli “inciuci” si fanno dalla notte dei tempi e che, quindi, anche questi attacchi mossi da Salvini rimangono di una sterilità disarmante, quantomeno un rappresentante del popolo ha il dovere e l’obbligo morale di presentarsi con la forma più adeguata, sia quando si esprime nella mai scontata arte dell’oratoria, sia quando si presenta nelle sue apparizioni pubbliche, perché sì, in alcune situazioni, tra cui ricoprire le più alte cariche dello Stato, la forma aiuta la sostanza ad essere credibile.
Ed appare chiaro che chi ha deciso di firmare ad agosto la crisi di governo al Papeete, di formale, ma anche di sostanziale, non gli sia rimasto più nulla.