Malati non-covid: “provo un dolore indescrivibile, la soluzione c’è ma ora non si può”
Sono esasperata, stremata, logorata, e non so più dove sbattere la testa. Da quasi tre mesi convivo con un dolore lancinante, indescrivibile. Eppure ci proverò a descriverlo: ho bisogno di condividerlo, di essere capita. E lo farò dovendo vincere anche un discreto imbarazzo. Non soffro di un male incurabile, una di quelle cose per cui bisogna rassegnarsi e basta. La soluzione c’è. Ci sarebbe. Un intervento chirurgico in day surgery, ricovero di un paio di giorni, e passa la paura. Peccato che questo non si possa fare; perché le sale operatorie di tutta l’Emilia Romagna (e di mezza Italia…) sono chiuse e gli anestesisti precettati per le terapie intensive covid.E tutti i malati d’altro… che aspettino!
Io sono una, ma quanti malati non-covid stanno patendo le pene dell’inferno come me e non hanno accesso alle cure? Quanti altri che, con o senza dolori così atroci, rischiano il peggioramento della propria condizione dovendo procrastinare interventi “non urgenti”?
Ma torniamo a me. Sono una donna di 35 anni, sposata e con una bambina di quattro anni.Da ormai parecchi anni soffro di rettocolite ulcerosa (RCU), una malattia infiammatoria cronica dell’intestino, che colpisce in maniera più o meno grave, con fasi alterne di attività e remissione e sintomi più o meno simpatici. Nella sfortuna, devo dire che mediamente io ci convivo abbastanza bene… Vivo in provincia di Bologna e ho la fortuna di essere seguita, a venti minuti da casa, da un vero e proprio centro di eccellenza per la mia patologia (al reparto MICI del Sant’Orsola vengono a farsi curare da tutta Italia). Ho sintomi rompiscatole, ma raramente invalidanti e, tutto sommato, controllabili con terapie “blande” (se escludiamo un paio di anni di terapia con farmaco biologico e vari cicli di cortisone). L’RCU è autoimmune, e per questo il suo andamento dipende tanto dalla mia serenità e dal mio stato psico-fisico generale. Tanto per gradire, sono truccatrice, danzatrice, lavoratrice dello spettacolo a vario titolo e insegnante di danza…Dopo un anno di forzata inattività, senza più un euro, dovevo aspettarmi una qualche sorpresa; è arrivata a inizio gennaio.
Pensavo fossero emorroidi. Mai avute prima, ma è uno dei tanti sintomi che la mia malattia può dare. Tanta gente le ha. Passeranno. Cacchio, che male!Ma davvero tutti quelli che hanno le emorroidi soffrono così, ma come fanno?!La mia medica di base, alla seconda settimana in cui sempre più disperatamente le riferivo al telefono i miei sintomi, fidandosi della mia supposizione di diagnosi (perché visite, in questo periodo, anche no…), mi disse che “dovevo solo avere pazienza”, che “sì, fanno male, ma c’è poi di peggio” e che, in fondo, dovevo “solo star su di morale”…E comunque, con la mia malattia, l’unico antidolorifico che posso prendere è la tachipirina. Oppure si passa agli oppiacei.
A un certo punto, giovedì 21 gennaio, il dolore è diventato decisamente troppo. Mi rassegno agli oppiacei, ma sono un bicchierino d’acqua su un incendio. Nel delirio del dolore mi emerge un ricordo: il “cerchio di fuoco”. Chi, come me, ha avuto la gioia di partorire l’ha presente: è quel momento in cui è sbucata la testa del bimbo e si è fermata lì. Durante il travaglio è una fase che dura qualche minuto: l’attesa di un’altra contrazione, poi un’altra ancora per far passare le spalle e finalmente fuoriesce la cosa più meravigliosa del mondo.Il mio nuovo “cerchio di fuoco” è durato 4 giorni e 4 notti, ed è fuoriuscito solo un mare di pus.Lunedì 25 gennaio, infatti, in chirurgia al Sant’Orsola, mi hanno inciso quello che hanno visto essere in realtà un grosso ascesso perianale.A questo punto pensavo decisamente che il peggio fosse passato. Il dolore era sensibilmente calato: improvvisamente, dopo una settimana di agonia, avevo finalmente ricominciato a vivere.
Mai fidarsi.
Nel giro di febbraio è stato chiaro che l’ascesso non ne voleva sapere di guarire: antibiotico (tre antibiotici, a dire il vero), impacchi, creme, supposte… niente da fare. Evidentemente si era aperta una fistola (l’infezione ha scavato un tunnel che passa dal retto al gluteo). E chiaramente il male riprende ad aumentare. Il primo marzo ho appuntamento con il chirurgo luminare di proctologia che, dopo qualche manovra decisamente poco piacevole, comprendendo che avevo troppo male per andare oltre, mi mette subito in lista per l’intervento di fistulotomia. Al TG della sera la ferale notizia: sale operatorie di Bologna (nel giro di pochi giorni sarebbero diventate quelle di tutta la Regione) chiuse per fare spazio a nuovi reparti di terapia intensiva covid.Quella che era la prospettiva di un’attesa di qualche settimana comincia a diventare un miraggio… stringo i denti perché è tutto quello che posso fare e provo ad andare avanti. Nel frattempo chiudono anche le scuole, mentre tutto il resto del mondo così detto “produttivo” continua a vivere. Anzi. A mio marito, che da un anno era a casa dal lavoro un paio di giorni a settimana, riducono la cassa integrazione. Morale della favola: sono a casa da sola con una bimba (deliziosa!) di quasi quattro anni. E il male continua ad aumentare…
A casa da sola con Agata. Quanto mi sono divertita nel primo lockdown a giocare con lei, a inventarmi cose da fare, a creare mondi immaginari, travestimenti, diversivi. Figurarsi… è la mia passione. Ma quando non riesci a pensare ad altro che al tuo culo è difficile essere creativi.E purtroppo mi è successo questo. Non riesco a staccare la testa da lì. Non riesco a giocare con la mia bimba deliziosa e le rispondo male per ogni inezia, perché quando hai male ce l’hai col mondo e te la prendi con chi c’è. E più fatico a stare con lei, più fatico a stare con me. Piango, urlo. Vorrei addormentarmi e non svegliarmi più. Pensieri bruttissimi.Ho iniziato anche ad assumere una terapia ansiolitica ed antidepressiva, con forse l’unico sollievo di aver riesumato un po’ della mia autoironia: così tra un mio pianto e l’altro almeno faccio ridere mio marito.
All’aumentare del gonfiore mi sono decisa a tornare in ospedale; il chirurgo mi ha posizionato un setone (un drenaggio: praticamente un piercing tra l’ano e il gluteo) lì, in ambulatorio e senza anestesia perché era il massimo che potesse fare, non potendo operare.Il dolore che ho provato in quel momento è davvero indicibile. Roba che “cerchio di fuoco, levate!”. Ho urlato, ho pianto. Poi però ho anche ringraziato il medico. Perché in teoria l’ha fatto per farmi stare meglio.Passano i giorni. Il male è atroce e non passa. Inizialmente penso sia questione di giorni. C’è la ferita fresca, poi passerà. Ma niente, nessun progresso.Ad ogni passo è come se una lampadina di vetro mi si frantumasse nell’ano. A stare seduta mi pare di avere un tizzone ardente che da dentro mi ustiona dal perineo al coccige. A stare sdraiata a volte va un po’ meglio: mi sembra solo di avere una spazzola di metallo (di quelle per togliere i peli ai gatti, per intenderci) infilata tra i glutei. Vi risparmio le sensazioni durante l’evacuazione. Pratica che purtroppo non posso decidere di sospendere. E vi risparmio anche i dettagli sulle secrezioni e le pratiche di lavaggio e medicazione… Tornata in ospedale la constatazione è: “ok, il setone fa il suo lavoro, ma non basta… chiamiamo il chirurgo che ne mette un altro.”Qui. Ora. Senza anestesia. Come l’altra volta.Mi sono rifiutata. Ho urlato, ho pianto e sono scesa dal lettino.E niente… riproviamo con doppio antibiotico fino a data da destinarsi, perché gli anestesisti non ci sono e l’unico intervento “pietoso” che si può fare richiede resistenza ad un dolore indicibile.Resistenza che io non ho più.Perché è il terzo mese che mi si frantumano lampadine dentro, che tizzoni infuocati mi lacerano, che partorisco pus.
Il mio male non è niente di grave. Non è un’urgenza in senso stretto, perché è poco più di un brufolo sulla chiappa. Ma il dolore che provo e che si sta prolungando mi sta annientando e trasformando. Mi piacevo, mi curavo, ballavo, ero allegra nonostante tutto. Ora sono tre mesi che “vivo” semisdraiata sul divano, con pigiami spaiati e pannoloni Tena. La faccia che mi faceva sembrare 10 anni più giovane dei miei 35 anni, ora è solcata da una smorfia di dolore che non riesco ad appianare neanche col trucco. Il mio massimo movimento è andare dal divano al bidet e mangiare in un’alternanza di “in piedi” – “in ginocchio”… perché seduta proprio non ce la faccio. Non riesco a giocare con mia figlia, figuriamoci a far l’amore con mio marito. Li scanso e li aggredisco entrambi, mio malgrado. La mia bimba mi porta “le pappe per curare il culetto”, e io mi sento morire. E vorrei giocare con lei, e far l’amore con mio marito, e sedermi a tavola. Vorrei tornare a vivere. E invece posso solo sopravvivere. A fatica.
Non so dire a che pro ho scritto questa testimonianza… Comunque vi ringrazio, perché scriverla mi è servito a far passare l’ennesimo giorno semisdraiata e dolente sul divano (caccia via!); e covare la speranza, anche se illusoria, di aver fatto qualcosa di utile non solo per me, ma anche per tutte le altre vittime indirette del covid – forse anche più sofferenti e disperate di me -, mi è di conforto; mi solleva un po’ da quel senso di frustrazione, impotenza e angoscia, a momenti più difficili da sopportare del dolore stesso… e dalla rabbia per quanti si lamentano della mascherina, snobbano il vaccino e vanno a farsi l’aperitivo!
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Viktoria Vandelli