Una brutta verità sul derby Genoa-Sampdoria
I tifosi di Genoa e Sampdoria non potranno assistere dal vivo alle partite della loro squadra fino a fine ottobre. Una decisione severa, ma attesa e persino schematica nella sua attuazione: se accade infatti una piccola rissa tra opposte fazioni nei pressi dello stadio – o anche all’interno dell’impianto – succede poco o nulla in termini di giustizia sportiva (se non il daspo di durata variabile per coloro che abbiano preso parte alla baruffa), altrimenti si passa al più classico divieto di trasferta per scontri un po’ più accesi; infine, se si arriva alla vera e propria guerriglia urbana il risultato sono un numero variabile di partite a porte chiuse. Colpire tutti per educarne cento.
É chiaro che per i tifosi “da spalti” più tranquilli non poter andare allo stadio per un mese sia una bella seccatura. Il singolo si indigna, ma il peso delle sue parole é relativo: lui vale uno. Poi, detto con franchezza : chi, tra coloro che popolano abitualmente un impianto sportivo, vorrebbe vedere al posto del settore più caldo una sorta di magma indistinto, poco organizzato e colorato nel sostegno alla squadra, ma educato e rispettoso? Quasi nessuno, altrimenti perché non stare davanti alla TV? Almeno, la partita si vede meglio.
Poi, come quasi sempre accade, chi prende le decisioni non é quasi mai realmente consapevole delle vere questioni cruciali che dovrebbe affrontare; nel caso di Genova, il problema non é stata infatti la storica ed inevitabile rivalità tra le due realtà cittadine, quanto le azioni decisamente al limite commesse da ambedue le tifoserie: il furto e l’esposizione dei drappi sampdoriani da parte dei tifosi rossoblu, la vandalizzazione dei murales fuori dalla Gradinata Nord genoana, azione intollerabile per qualsiasi ultras di tutto il mondo – la Sud si é infatti dissociata – accoltellamenti e agguati. Si può chiudere lo stadio per accontentare chi ogni volta chiede “pene severe, stadi blindati” (spoiler: già succede), ma poi permangono le vere questioni: il drappo da recuperare, l’affronto da vendicare e tanto altro. Vicende che affronteranno le due tifoserie, a modo loro. Non entro in merito. Mi limito solamente a dire che chiudere lo stadio per impedire scontri tra tifosi che abitano la stessa città é come voler mettere un cerotto sul Titanic che affonda.
Si potrebbero poi affrontare anche tante altre discussioni: l’arbitrarietà di certe decisioni (Napoli-Palermo, partita contraddistinta dal lancio di fumogeni e bombe carta tra tifosi, non é stata potenzialmente altrettanto pericolosa?), il mitico “modello inglese” che aleggia ogni qualvolta succeda qualcosa di “sopra le righe” in un campo di calcio – ma la violenza in Inghilterra non é che sia scomparsa, si é spostata altrove, soprattutto nei pub – o la richiesta, paradossale ma se vogliamo sensata, di chiudere ad esempio le discoteche o vietare la somministrazione di alcolici ogni volta succeda qualche scazzottata, ma si rischia di allungare solamente un brodo già parecchio annacquato. Per stringerlo allora la ricetta é semplice: ricordare che il calcio é l’ultimo baluardo in cui una società comunque opulenta come la nostra può fronteggiarsi, tra rivalità vecchie di secoli che nessun Osservatorio potrà mai cancellare e una dimensione atavica violenta di tutti gli esseri umani. Passano i millenni, ma la natura umana non cambia. Al massimo peggiora.