Lavoro a perdere

Se hai tra i 30 e i 40 anni di età e sei una donna il tuo colloquio di lavoro potrebbe cominciare o finire con le seguenti domande: “Sei sposata?” e poi “hai figli?”.

L’articolo 27 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna – Dlgs 198/2006 lo vieta. Eppure, queste domande nel 2024 vengono ancora effettuate.

Parlo per esperienza personale che per cercare un lavoro come impiegata, dopo aver esposto formazione, esperienze professionali, conoscenza delle lingue, so che verrò giudicata soprattutto per le domande sui figli. Diciamo che negli ultimi anni mi è capitato l’80% delle volte.

Il colmo è che anche in aziende strutturate come SPA, quindi non solo in piccole piccole e medie imprese a gestione famigliare, vengono poste queste domande. Addirittura gli HR manager aziendali, sia uomini che donne, pongono codeste domande, che dovrebbe sapere che sono vietate.

Le scelte che hai come intervistata sono due:

  • Far presente che per legge la domanda non può essere posta e sai già che non verrai richiamata, perché hai già fatto fare una figuraccia al titolare o responsabile;
  • Rispondere alla domanda per avere un’opportunità.

Altri, sapendo che non possono rivolgere tale domanda, sono più subdoli. Parlano dei loro figli, dell’equilibrio vita lavoro, per vedere se ti sbilanci e racconti della tua vita personale.

Quello che c’è dietro questa domanda è evidente, ossia fare l’equazione che se non hai figli ti devi dedicare al 100% al lavoro. Questa considerazione mostra una cultura del lavoro vetusta, che premia non la qualità del lavoro ma l’essere presente in ufficio anche oltre le 8 ore. Tutto ciò va di pari passo col fatto che spesso l’organizzazione del lavoro è pessima e quindi comporta più stress e più ore di lavoro.

Inoltre non è detto che chi non ha figli deve essere sempre reperibile, sempre sul pezzo, svolgere pure il lavoro degli altri e soprattutto non chiedere permessi. Non avere figli non significa legarsi mani e piedi al lavoro.

Scontrandosi con questa realtà desolante è chiaro che poi tutti i discorsi sullo smart working e sull’equilibrio vita lavoro che riempiono il tuo feed di LinkedIn lasciano il tempo che trovano.

Ultima riflessione: tutte le aziende che insistono ancora con queste domande discriminatorie ne escono male, dato che come candidata mi faccio già un’idea del tipo di ambiente e soprattutto di organizzazione.