Il mio viaggio in Cisgiordania: tra memoria, resistenza e speranza

Sono tornata da pochi giorni dalla Palestina e le immagini del mio primo viaggio in questi luoghi sono nitide nella mia mente.

Grazie all’Associazione Assopace Palestina che ha organizzato il viaggio, ho avuto la possibilità di vedere da vicino la realtà che ogni giorno sono costretti a vivere i palestinesi. Una realtà molto lontana dalla nostra, che ti fa vivere nell’incertezza e nella paura.

Quando percorri le strade tra il confine giordano e quello israeliano, le sensazioni che si provano sono molte, ma quella che prevale è solo una: tristezza.

Quando realizzi che poco distante da te c’è un popolo che sta cercando di sopravvivere alle bombe, lottando in tutti i modi per restare aggrappato alla vita. Gaza è un pensiero costante di cui non ti puoi liberare.


L’arrivo in Cisgiordania mi ha fatto entrare in contatto con la loro quotidianità, con l’occupazione illegale dei coloni israeliani.

I coloni ampliano gli insediamenti, che nascono durante la notte senza che nessuno lo sappia: per loro non ci sono regole e il governo israeliano gli lascia carta bianca.

Negli ultimi mesi circa 40 mila palestinesi sono stati sfollati dai campi profughi di Jennin e Tulkarem. Le incursioni dell’esercito ormai sono all’ordine del giorno nelle città di Hebron, Nablus, Ramallah, e gli outpost dei coloni aumentano a dismisura circondando i villaggi.

I coloni uccidono i capi di bestiame dei palestinesi per eliminare la loro unica fonte di sostentamento.


I servizi essenziali sono gestiti dal governo israeliano e l’Autorità Nazionale Palestinese è troppo debole per alzare la voce contro Israele.

Dal 7 ottobre la situazione è peggiorata: i coloni sono diventati più violenti, girano come gruppi paramilitari armati di mitra. Nel momento in cui i palestinesi cercano di difendersi, arriva l’esercito che arresta questi ultimi. Difendersi è diventato illegale e attaccare è diventato legale.

Mentre cammini per le strade di Gerusalemme, puoi incontrare persone con un mitra in spalla, sfoggiato come un normale accessorio.

I check-point sono circa mille in Cisgiordania e l’esercito può decidere quando aprirli e chiuderli, creando enormi disagi ai palestinesi che devono spostarsi da un luogo all’altro.


Nel West Bank è una guerra all’ultimo insediamento. Israele non vuole la soluzione a due Stati e sta facendo di tutto per ostacolarla: l’unico obiettivo è quello di realizzare il progetto del Grande Israele.

Com’è possibile che Israele riesca a fare tutto questo?

Lasciando da parte l’appoggio degli Stati Uniti, Israele ha anche quello dell’Unione Europea. Quest’ultima approva sanzioni nei confronti della Russia, ma non contro Israele. Non c’è volontà politica, e la diplomazia palestinese, soprattutto sul piano della comunicazione, è molto debole.


Durante la mia permanenza ho raccolto le testimonianze di persone che continuano a resistere, nonostante portino sulla loro pelle le cicatrici di un passato fatto di dolore e sofferenza.

Nella foto: Outpost (insediamento forzato) dei coloni israeliani a Masafer Yatta