Contro il pericoloso attacco al suffragio universale
“Se non avete idea di cosa stia succedendo, anche sottrarre noialtri alla vostra ignoranza è un dovere civico. Purtroppo non ci possiamo fidare di voi. Se il voto è un rito consacrato della democrazia, come spesso sostengono i progressisti, è giusto che la società abbia delle pretese minime su chi vi partecipa”.
Così scrive il giornalista David Harsanyi sul The Washington Post all’indomani delle elezioni americane.
Eppure quando Obama ha vinto nel 2008 e nel 2012 prendendo i voti degli “ignoranti”, andava tutto bene. Il problema per questi intellettuali non è l’ignoranza, è il fatto che i “poveracci” non votino come dicono loro.
Su SKY TG 24, il giorno della vittoria di Trump, ho ascoltato un interessante intervento di un esponente dell’ANSA che descriveva così il voto dei lavoratori del Nord – Est degli Stati Uniti, da sempre democratici e ora repubblicani: “da un parte c’è un candidato che parla di lavoro, di dazi per le aziende straniere, di nuovi posti di lavoro e nuove industrie. Dall’altra una candidata che parla di guerra e dei giardini delle scuole adibiti ai bambini transgender”. Non vi pare naturale che per tutti quei lavoratori, che mangiano con la social card in salsa USA e devono sempre scegliere tra mangiare e curarsi, questi argomenti non sono minimamente interessanti?
Non è l’ignoranza, non è il livello d’istruzione, ma è la condizione sociale ad aver determinato il voto in quegli stati operai. Ma questo la sinistra snob e chic non lo ha capito, perché il problema del lavoro non gli compete, il problema della sanità non gli compete, fare la spesa per mangiare non gli compete, arrivare alla fine del mese col mutuo pagato non gli compete.
Il razzismo, il sessismo, la donna presidente etc. evidentemente non sono priorità politiche per chi ha fame e non ha accesso a lavoro, cure e istruzione.
La mente, scollata dalla realtà, di questa “upper class” progressista chiede i test dell’intelligenza per votare, condanna l’ignoranza ma non si azzarda minimamente a proporre invece un accesso garantito e gratuito all’istruzione, innalzamento dell’obbligo di frequenza, taglio ai fondi per le scuole private e, nel caso degli USA, l’abolizione del prestito d’onore per studiare.
In Italia si sta facendo lo stesso, pericoloso, discorso. Ma nel nostro paese l’educazione civica non si fa a scuola da non so quanto tempo. Invece di abolire gli elettori si ristabilisca l’obbligo dell’educazione civica in tutte le scuole a partire dalle elementari. Questo è il primo passo per creare la consapevolezza del voto.
Non solo la scuola: i partiti una volta facevano un lavoro straordinario di formazione e informazione che serviva appositamente per educare al voto e alla conoscenza della politica. Se la politica non fa nulla per educare al voto i cittadini è colpa della politica se i cittadini non sono consapevoli. Inutile poi lamentarsi. E non è vero che gli ignoranti votano male e gli intellettuali bene; il PCI aveva il voto dei cosiddetti ignoranti proprio perché rappresentava una speranza di una vita migliore, cosa che poi è avvenuta per tanti anni.
A noi comunisti dicono che siamo vecchi e anacronistici. Loro invece sono tornati direttamente allo Statuto Albertino e ad una restaurazione aristocratica che sa di farsa, o forse peggio.