Coronavirus, l’ego umano ferito da un "nemico invisibile"
Ogni giorno che passa la città diventa più silenziosa e lo sarebbe ancora di più se non fosse per la gente che negli ultimi giorni, costretta in casa, si affaccia al balcone per suonare e cantare le colonne sonore del nostro paese, quelle dei grandi artisti che hanno composto e continuano a farlo per l’unità nazionale, dall’inno di Verdi ad “Azzurro” di Celentano a “Felicità” di Albano. Chi l’avrebbe mai detto che tutto ciò che abbiamo sempre fatto quasi inconsapevolmente come incrociare lo sguardo degli altri o scambiare due parole per salutare amici e parenti avremmo dovuto farlo attraverso finestre distanti metri una dall’altra, seguendo programmi dettagliati con orari e canzoni divulgati sui social e i mass media moderni, compagni fedeli nei salotti e nelle cucine che ci aggiornano, ora più che mai, di ciò che avviene fuori la gabbia d’oro della nostra dimora.Ogni giorno che passa la città si spegne sempre più perdendo il suo splendore se non fosse per le bandiere dai colori vivaci dell’Italia e i cartelloni con il simbolo sgargiante dell’arcobaleno, simbolo di rinascita, che sventolano al flebile vento che fischia tra le strade. Talvolta la malinconia porta la gente ad uscire sul balcone con torce e laser puntati verso il cielo per mandare un messaggio alle stelle ricolmo di speranza, sentimento tangibile più di ogni altro che lascia a bocca aperta i rari passanti con le buste piene di spesa che attraversano placidamente i viali deserti.Il sole riflette la sua luce sull’acqua del mare, forza implacabile che non si lascia intimorire da niente e nessuno, l’unico che aiutato dal vento non rallenta i ritmi abitudinari e non si rattrista continuando a urlare energicamente contro gli scogli quasi divertito di fronte alla smentita presunzione degli uomini di appartenere ad una specie inarrestabile. La pandemia sta flagellando tutti i domini caratterizzanti la complessità del genere umano con la rapidità di un pugile ben allenato che colpisce il suo avversario in più parti del corpo per stordirlo e metterlo k.o. L’economia e il turismo sono messi a dura prova a causa del fermo forzato di fabbriche, attività commerciali, trasporti; la sanità inciampa sempre più volte nella corsa ad ostacoli contro il virus e si spera possa arrivare al traguardo per prima in questa gara di velocità; la socialità, dimensione più elevata dell’essere umano, è stata repressa per non far si che l’ombra della malattia sparsa a macchia d’olio su tutto il pianeta potesse avere terreno fertile per dilagare ulteriormente. Quest’ultimo è il colpo che fa più male, un colpo al cuore che traumatizzato alza le barriere proteggendo i sentimenti di amicizia e amore che non possono più correre spensierati per le strade a causa del pericolo nascosto dietro gli angoli dei palazzi, sotto i porticati delle piazze, tra le persone in fila al supermercato, sempre pronto per un agguato. Il virus sta girando il coltello in una ferita che potremmo definire narcisistica, lacerando quell’egocentrismo intrinseco dell’uomo così saldo, ma evidentemente anche così fragile. Dopo decenni siamo tornati a convivere con l’ansia e l’angoscia esasperate da un’ossidazione dei riferimenti temporali, ingranaggi cardine nella nostra mente che la rendono fluida e slanciata verso il futuro; ma questo non può che rinforzarci perché torneremo ad apprezzare fortemente l’immagine dell’abbraccio tra due fidanzati, il brusio assordante della gente che brulica sul lungomare, una serata in tenda sulla spiaggia distesi uno affianco all’altro per combattere l’umidità del mare che penetra le ossa. L’indifferenza e la banalità lasceranno il posto alla consapevolezza e alla singolarità e forse prenderemo coscienza del vero valore della nostra vita.