#iorestoperstrada, una storia da Palermo nei giorni del coronavirus

Il signor X è un senzatetto.

Non si sa molto di lui, se non che anni fa è arrivato a Palermo da molto lontano, che da allora è qui in pianta stabile, e che ha avuto un incidente e, dopo avere battuto la testa, non è più stato lo stesso di prima ed ha perso la capacità di lavorare.

Ha il diabete e un non meglio specificato deficit neurologico post-traumatico; la combinazione di entrambi lo rende un soggetto vulnerabile “da manuale”. Ha grosse difficoltà a ricordare qualsiasi cosa non sia nella sua routine se non gli viene spiegata cento volte. Di contro ha un animo gentile e cortese.

Fino alla primavera del 2019 il signor X nemmeno sa di avere il diabete. Dorme per strada, mangia quello che gli danno i negozietti dei bengalesi o quello che trova.

Iniziano ad occuparsene alcune ragazze del Servizio Civile, che lo incontrano in quel periodo nella struttura in cui prestavano servizio.

Le ragazze trovano il signor X fisicamente devastato. Temono che possa perdere un piede perché ha delle ulcere infette che arrivavano quasi all’osso.

Le visite mediche sono il primo problema. Le ragazze, più di una volta, devono cercare il signor X nei luoghi in cui si reca durante il giorno e portarlo a visita, perché l’appuntamento col dottore non rientra nella sua routine quotidiana.

Finalmente la diagnosi: diabete. Naturalmente “non ci sono le condizioni per un ricovero”, quindi il signor X può tornare a dormire per strada. Ma non è più solo e ha qualcuno che gli dà i farmaci per il diabete e quelli per le assenze tipiche.

Intanto il signor X si abitua all’aiuto delle ragazze e sviluppa una relazione fiduciaria e di amicizia verso chi, ogni mattina, gli ripulisce le piaghe e gli dà i farmaci. Perché il diabete non è “curabile”, ma si può intervenire sulla glicemia con i farmaci e facendogli seguire una dieta più adeguata. E le piaghe si restringono, poco alla volta, mese dopo mese. E si cicatrizzano.

Il passo successivo è trovare un luogo dove possa dormire e, dopo mille difficoltà, si riesce a trovargli un posto in un dormitorio.

Ora il signor X è al coperto, ha dove lavarsi, mangiare, può andare a pregare una volta al giorno e seguire la sua routine quotidiana.

Ogni tanto ha una crisi (neurologica o glicemica? Non ci è dato saperlo, i medici non si sono espressi), e mette a dura prova gli operatori del dormitorio, che non capiscono. Bisogna comprendere che questi non sono abituati ai pazienti neurologici (chi lo è davvero?). Si occupano di senzatetto, e fanno quello che possono con il signor X.

Le ragazze sopperiscono se c’è bisogno di qualcosa. Si gravano del compito di portargli i farmaci, di contattare i volontari di MSF per il rinnovo dei piani terapeutici e le visite, di “seguire” il signor X per fargli rispettare la dieta.

Quasi un anno per restituire un poco di dignità alla vita di un uomo tanto gentile quanto sfortunato.

E il signor X ci mette il suo di impegno, si appunta quello che deve fare, cambia la sua routine per prendersi cura di sé, nei limiti del suo possibile. Si cura più di sé.

E adesso?

Adesso è arrivato il COVID-19. Il governo ha giustamente indicato l’isolamento. E il dormitorio lo ha recepito. Ma non ha saputo spiegarlo al signor X. “Se esci anche oggi non possiamo farti rientrare”.

Il signor X, la cui routine prevede di uscire, lavato e pulito di tutto punto, per la preghiera almeno alla sera quell’oggi di qualche giorno fa, è uscito dal dormitorio.

E non è più potuto rientrare. Né in quella struttura, né in nessun’altra.

Chi era dentro quando è iniziato l’isolamento ed è rimasto dentro, tutto il giorno, tutti i giorni, ha un tetto sopra la testa anche oggi. Per chi come il signor X non può capire del tutto cosa sta succedendo e non ha modo di rinunciare a una qualche parte integrante della sua vita, si è deciso che non può avvalersi di questo lusso.

Il signor X è rimasto per strada. Col suo diabete e con le sue crisi epilettiche. E con il freddo di queste serate di metà marzo. Senza capirne il perché. Senza più la sua routine, in una città fantasma in cui anche i servizi per le persone vulnerabili non rispondono o non ricevono persone esterne. O peggio, fanno prendere decisioni cruciali a persone che non hanno scelta o che non hanno la capacità di farla, una scelta.

Cristiano Di Salvo

Psicologo