L’Italia chiamò: autocritica ai tempi del virus
“Presente!” – è questo ciò che si è soliti rispondere negli appelli scolastici. Serie di generazioni sono cresciute, e lo fanno tuttora, ripetendo quotidianamente questa parola. L’antagonista è “Assente!” – altisonante perché corale, urlato da tutti gli altri quando un alunno della classe non c’è. Ecco, una volta gli assenti erano rari. Il rigore scolastico era elevato. Essere assente era un fatto quantomeno reboante, clamoroso. Tuttavia, un giorno, l’antagonista ha iniziato a prendere piede, fino ad arrivare ad essere una costante. Perché tanto che fa? “È solo un giorno” e poi magari “non si faceva nulla!”. È solo un piccolo esempio, tuttavia calzante, di una curva intragenerazionale visibile. La sensazione che traspare, e non solo a livello scolastico, è quella di un adagio progressivo e generale.
Il Novecento ha avuto momenti assai difficili per i comuni cittadini. Le generazioni sono state chiamate all’operosità: per costruire il futuro, per difenderlo, per realizzare un’idea di mondo. Vite fatte di sacrifici pronte a sacrificarsi. Persone che si sentivano esse stesse Stato e consapevoli di esserlo tutti insieme. E il secondo dopoguerra ha visto susseguirsi anni roventi di partenza, slancio, vigore. Anni di anime abituate ad essere forti e all’abnegazione, a rispondere appunto “Presente!” quando si faceva l’appello. Ma inevitabilmente i tempi cambiano, i sentimenti mutano e si è (fortunatamente!) in un’epoca tutto sommato serena e più o meno prospera. Dagli anni 70-80 tutto cominciò a sembrare più realizzabile, possibile e a portata di mano. E così per le imprese, l’economia e fino ai giovani: tutti a gonfie vele. Per decenni si è vissuti con la convinzione che le risorse fossero infinite. Si sperperava, utilizzava, perché tanto non importava. E da almeno mezzo secolo si è abituati allo svago: in misura sempre più crescente che porta al “faccio quello che mi va” odierno. Quest’ultima filosofia, tutt’altro che stoica, sembra primeggiare sulle altre nella società contemporanea. La frivolezza è nell’aria, la superficialità dilaga. Con faciloneria oggi la “classe” – metafora dalle mille interpretazioni – proclama spesso “Assente!”. Infatti adesso, discendenti da periodi fortunati, si nasce cullati e si cresce con ben poca concezione del sacrificio. Non ci si aspetta che qualcosa di primario non si ottenga più o meno facilmente. All’attualità e alla politica, inoltre, si pensa poco: si sta tutto sommato bene. Lo stato è qualcosa di astratto, di fugace. In fondo cos’è? È avvertito da molti pressappoco come un ente. In pochi si sentono stato.
Però or ora qualcosa ci sta scuotendo violentemente. Siamo incappati in un ostacolo che ci appare anacronistico ed errato. Siamo di fronte ad un’epidemia: un qualcosa che sembra fuori luogo. Riguardo al coronavirus (covid-19) in tanti avranno pensato ultimamente di essere finiti in un film. Già, perché queste cose non appartengono all’idea di presente, stridono e stonano, sono più da libri di storia o da racconti del nonno o del bisnonno. E suvvia, in fondo ci viene richiesto tutto sommato poco. Non si tratta di imbracciare un fucile né di partire per una maratona. Bisogna solo mettersi comodi e osservare. Ci viene chiesto di stare sul divano, un passatempo d’altronde molto amato. Eppure in molti, menti frivole di generazioni adagiate, non comprendono perché dovrebbero fare tale sforzo. Abbiamo visto immagini deplorevoli, scene di persone totalmente irresponsabili che hanno contraddetto ogni indicazione. Sono liberi. Nessuno può dire loro quel che devono fare. E anzi, contraddire è quasi l’imperativo morale, come se non partecipare (l’assenza!) fosse simbolo di una presunta superiorità. Per lo stato votano e basta, se votano. L’egoismo è il loro padrone e il piacere la loro passione. E tutto ciò rischia di farci affondare. Questa assenza del “noi”, di senso civico e di buon senso comune ci ha portato all’emergenza. E adesso non è neanche più tempo di chiacchiere sul senso civico. Bisogna dare un forte contributo hic et nunc. Siamo chiamati. Non si può continuare a far finta che non riguardi tutti. Gaber cantava che la libertà non è uno spazio libero, ma è partecipazione. E adesso è necessario partecipare. Tutti insieme, tutti uniti. Siamo di fronte ad un evento epocale, storico… generazionale. È venuta l’ora di dare il nostro contributo. È il momento di essere Paese e di ricordarci che siamo noi i protagonisti di ciò che accade e che non si può sempre incolpare qualcun altro. Ora si deve essere coscienti, responsabili. È la nostra occasione per dimostrare, una volta per tutte, che anche noi siamo in grado di rispondere “Presente!”.