Alimenti dell’Unione Europea destinati ai bisognosi? Cercateli nella spazzatura!

Sprecare cibo è una cosa deprecabile, soprattutto in tempi di crisi economica ed ambientale. Ma il gettarlo via deliberatamente si configura come un vero e proprio atto criminale nel caso in cui gli alimenti in questione riportino sulle confezioni la scritta “Aiuto UE FEAD – prodotto non commerciabile”.

Su numerose testate giornalistiche locali, periodicamente e con una certa uniformità geografica, si leggono notizie riguardanti ritrovamenti di generi alimentari perfettamente conservati e non scaduti, riportanti chiaramente l’appartenenza agli aiuti alimentari di cui sopra.

San Benedetto del Tronto nel 2018, Ischia e Lanciano nel 2019, Crotone nel 2020. Sono sono alcuni dei luoghi dove sono stati rinvenuti centinaia di chili di pasta, latte, riso, verdure in scatola gettati nei cassonetti o in zone periferiche poco battute.

Ad Ispica, in provincia di Ragusa, dal 2015 si ravvisa una scia ininterrotta di ritrovamenti, che siano rigatoni o biscotti per l’infanzia fa poca differenza, trattasi sempre di alimenti che dovrebbero trovarsi nelle dispense dei bisognosi ed invece sono stati gettati fra i rifiuti.

Ma qual è il percorso che questi alimenti fanno prima di finire nella spazzatura o sulle tavole dei non abbienti (nei casi più fortunati)?

Tutto parte dal FEAD, il Fondo di aiuti europei agli indigenti, che sostiene gli interventi promossi dai paesi dell’UE per fornire ai cittadini in difficoltà cibo e assistenza di tipo materiale. Gli Stati Membri possono scegliere quale tipo di assistenza fornire (prodotti alimentari, beni primari o una combinazione, nonché il sostegno all’inclusione sociale, ad esempio, tramite attività a favore dell’inclusione di persone anziane o bambini) e in che modo compiere l’approvvigionamento di tali beni e la loro distribuzione.

In Italia l’Organismo Pagatore è l’AGEA, che organizza il sistema di distribuzione di aiuti alimentari destinati alle persone in condizione di indigenza acquistando direttamente cibo e beni tramite gare d’appalto e fornendoli alle organizzazioni partner che ne facciano richiesta.

Le organizzazioni partner possono essere organizzazioni non governative che dichiarano all’AGEA il numero e la tipologia di nuclei familiari in stato di bisogno e richiedono la tipologia di aiuti secondo loro più idonea.

Tali organizzazioni ricevono, inoltre, una somma forfettaria a rimborso delle spese amministrative, di trasporto e di magazzinaggio sostenute, pari al 5% del valore dei prodotti alimentari.

Datosi che i quantitativi che periodicamente vengono richiesti dalle organizzazioni partner all’AGEA hanno come unità di misura i quintali si capisce bene come questo 5% di rimborso spese possa essere corredato da diversi zeri al seguito.

Cosa ci fanno dunque dei preziosi carichi di alimenti gettati tra i rifiuti?

Cosa spinge qualcuno a liberarsi di nascosto di cibo perfettamente conservato, destinandolo al macero invece che alle dispense delle famiglie che hanno bisogno di assistenza persino per mangiare?

Risulta poco credibile che i prodotti alimentari siano arrivati ai beneficiari e siano stati gettati via da loro perché sgraditi, in quanto le estreme condizioni di indigenza dichiarate dovrebbero essere motivo primario per riempirsi lo stomaco con il cibo recapitato.

Esiste dunque qualche altra ragione?

È possibile che gli alimenti non siano mai arrivati a destinazione perché in realtà quelle famiglie indigenti non esistono nel numero dichiarato o la consegna degli alimenti risulta troppo onerosa?

Qualcuno che ne capiva di certi affari diceva di seguire i soldi, quindi ricapitoliamo.

Ci sono soldi che si palesano come derrate alimentari da consegnare, ci sono soldi che entrano per l’organizzazione di attività atte a favorire l’inclusione sociale (leggi ad esempio corsi educativi e formazione) e soldi richiesti a rimborso forfettario delle spese teoricamente sostenute per immagazzinare e consegnare i beni da distribuire.

Serve fare anche un disegno?