All you can eat e Greta Thunberg: due facce dello stesso pianeta

“Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui parlate sono i soldi e le favole su un’eterna crescita economica?” Sebbene, confesso, di non avere particolarmente apprezzato il discorso di Greta Thunberg alle Nazioni Unite, devo ammettere di essere rimasto particolarmente colpito dalla frase sopra. Una “crescita economica perenne”. Una crescita economica di cui tutti noi (e quelli prima di noi) abbiamo beneficiato fin dagli albori della razza umana e di cui ora sembriamo trovarci a dovere pagare il prezzo. Il paradosso risiede però nel fatto che la nostra sensibilità verso l’ambiente è ovviamente conseguenza (o merito) del nostro stile di vita elevato, che si è per l’appunto raggiunto tramite una travolgente crescita economica. Senza questo benessere non avremmo avuto modo o interesse di occuparci di quei problemi ambientali che, piaccia o meno, ricadono nella categoria che gli anglofoni chiamano first-world problems: ”problemi da primo mondo”, ossia problemi dei ricchi con tante energie e tempo libero da sprecare. Dimostrazione lampante di questo è proprio la differenza di approccio alla questione, ad esempio, tra primo mondo e paesi in via di sviluppo.

Tuttavia, sebbene trovi la “linea Thunberg” a tratti raffazzonata ed imprecisa (non gliene si voglia, è giovanissima), è indubbiamente un ottimo spunto per una piccola riflessione. Questa affrettata citazione di una fantomatica “promessa crescita economica” distrae in realtà l’attenzione dal vero problema: la coltivazione del mito dell’abbondanza. Sebbene i due elementi siano correlati, in quanto la crescita economica è necessaria per sostenere l’abbondanza e/o la redistribuzione della ricchezza, si tratta di due facce leggermente diverse della stessa medaglia.

Camminavo per una strada di Londra ed avendo notato il susseguirsi di ristoranti all-you-can-eat ed ho improvvisamente provato un senso di disgusto. È interessante innanzitutto analizzare l’espressione da un punto di vista linguistico: all you CAN eat – tutto quello che RIESCI a mangiare. Il nome di per sé è un indizio piuttosto rilevante sull’improprietà del concetto. A che punto della nostra storia siamo passati da “all-you-feel-like-eating” (tutto quello che ti va di mangiare) a “tutto quello che riesci a mangiare”? Per quale motivo siamo giunti alla necessità di riempirci ben oltre la sazietà al netto della qualità del prodotto che stiamo consumando e di come questo sia giunto sulla nostra tavola? Poco importa se per soddisfare questo nostro bisogno di abbondanza si sia dovuto crescere, consumando risorse, e macellare una quantità di bestiame superiore alla reale necessità. (Perdonatemi, da vegetariano non potevo non toccare questo punto, ma lo stesso discorso vale per verdure, cereali e quant’altro).

Il genere umano e la nostra società per la propria sopravvivenza hanno un bisogno essenziale di crescita economica o sarà proprio l’amore per il pianeta a venire a mancare; i paesi in via di sviluppo infatti si interesseranno ai nostri problemi da primo mondo (vedi ambiente) solo quando avranno raggiunto il nostro livello di benessere. Tuttavia è fondamentale che la cultura occidentale, da trendsetter, vilifichi e denigri la cultura dell’abbondanza combattendo ogni abominio sul modello all-you-can-eat.

Per riassumere quindi non è la crescita economica ad essere il male assoluto, bensì il mito dell’abbondanza che la supporta. Mito che funge al tempo stesso da motore e carburante del sistema capitalista che per la sua sopravvivenza non ha modo di fermarsi autonomamente nonostante l’autodistruzione che è sua naturale conseguenza.

Insomma, il dilemma è ormai chiaro e improrogabile: “amicus Adam Smith, aut magis amicus planeta?”