Essere rifugiati
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Siamo Sarah B. E Marta C., infermiera e medico, e siamo sull’isola greca di Chios per un breve periodo di volontariato per conto dell’associazione “Rainbow for Africa”, partner di “Waha”.
A Chios ci sono attualmente circa 3 mila rifugiati provenienti prevalentemente da Siria, Afganistan e Iraq,ma anche da molti altri paesi (Pakistan,Palestina, Libano, Sudan,Somalia,Eritrea,Marocco, Algeria,etc), sistemati in tre campi: Souda, popolato prevalentemente da siriani e gestito da unhcr, Vial,che ospita prevalentemente afgani,gestito da Fontex e dalla polizia greca e Depete,in realtà una tendopoli vicino al centro della città.
Molti dei rifugiati sono bloccati qui dal 20 marzo, senza ricevere alcuna informazione o notizia su quando potranno lasciare l’isola, dove verranno mandati e quali sono le loro possibilità di richiedere asilo.
Questo ha portato ad una situazione di grande tensione e frustrazione. Le condizioni psicologiche dei rifugiati sono in continuo peggioramento, con frequenti episodi di attacchi di panico e grave depressione fino ad atti di autolesionismo e tentativi di suicidio.
Il timore principale, oltre a quello di rimanere bloccati qui a tempo indefinito, è quello di essere rimandati in Turchia e da li poi deportati nei loro paesi di origine, da cui sono scappati.
“Deportazione” è una parola che qui si sente pronunciare spesso. Per cercare di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul loro dramma,al campo di Souda circa 30 siriani, tra cui donne e minori, hanno iniziato il 17 maggio uno sciopero della fame. Alcuni episodi di malore per ipoglicemia ed ipotensione grave si sono già verificati, con anche necessità di ricovero in ospedale. La loro protesta pacifica però,ha tutt’ora suscitato scarso interesse nei media greci ed internazionali. Ci rendiamo conto che il nostro racconto non è in grado di rendere l’idea della gravità della situazione e della disperazione di queste persone e che gli stessi problemi sono comuni a tutti i campi greci e non solo.
… ed è così che nell’assordante silenzio della comunità internazionale, nel disinteresse generale, i sogni di riscatto di migliaia di profughi in fuga dalla guerra si arenano su un’ isola che credevano un approdo per la libertà, e che invece si è rivelata la più crudele delle prigioni.