La rivincita delle terre selvagge italiane

Nell’era digitale della battaglia green, fra scenari di desertificazione continua e ghiacci che si sciolgono, la percezione ambientalista è aumentata in tutta Europa. A beneficiarne, in qualche modo, sono le terre ”lasciate indietro”, cioè quei posti, degni ormai di un remake di ”In To The Wild” che nulla hanno da invidiare alle distese (forse solo ”leggermente” più ampie) dell’ Alaska continentale. Sono zone alpine che sono state dimenticate dall’imprernditoria d’alta quota, nei decenni scorsi, poco ospitali per un turismo di massa di piste da sci e albergoni lussuosi a prova di oligarca russo. Un esempi tutto italiano, è l’area wilderness più grande delle Alpi, la Val Grande, situata nell’estremo nord Piemonte del Verbano Cusio Ossola, a ridosso della svizzera e il lago Maggiore. Un’ area atipica, per molti fattori, soggetta nel tempo al completo spopolamento dei borghi, causa emigrazione verso le fabbriche ossolane e verbanesi negli anni sessanta. A ben vedere comunque, i film qui li hanno fatti davvero, senza aspettare le troupe holliwoodiane. Abbiamo Emanuale Caruso con La Terra Buona, pellicola da incassi a sei cifre, con un sequel, A Riveder Le Stelle appena concluso e che verrà presentato il 28 febbraio a Domodossola, sui temi ambientali mondiali. La morfologia del Parco è tutta originale, atipica anche per la assenza di montagne di riferimento, cioè formata da una conca in cui si ”entra” e non si ”scala’ con al suo interno panorami da Signore Degli Anelli e tutto attorno una corona di montagne impervie, dai nomi fantasiosi tra cui Tignolino, Proman, Faiè, Pedum, Pernice. Sia chiaro, qui gli animali leggendari di Tolkien esistono e si materializzano sotto forma di vipere e qualche lupo, per cui ed è certamente sconsigliata la visita a gruppi improvvisati e mal equipaggiati di escursionisti. Non esistono strade asfaltate nelle aree interne, ad eccezioni degli accessi sentieristici. Pochi i paesini interni abitati, fra cui resiste Cicogna, sulla sponda verbanese del Parco. Qui quasi il 5% in più di turisti, nel 2019. Purtropppo motli stranieri, tedeschi e svizzeri in testa, molto più educati alla montagna nuda e cruda rispetto all’italiano medio. Ma è un buon segnale. Eventuali soccorsi sono difficoltosi ed onerosi qui, per cui preparazione e scorta di guide locali ben preparate sono d’obbligo. La crescita dei passaggi turistici, l’attenzione dell’Ente di gestione Parco, insieme a comuni limitrofi e la rete di accoglienza locale fatta da Bed and Breakfast e ostelli, si è rivolta alla infrastruttura sentieristica, ai bivacchi in quota, per riproporre itinerari anche leggendari, come il sentiero Bove, intitolato all’avventuriero piemontese ottocentesco che ha ispirato scrittori di tutta Italia. E poi film, presentazioni, proiezioni e convegni sulla montagna del passato, del presente e del futuro. Futuro incerto, che fonderemo su sviluppo o conservazione, con la speranza sempre che ci sia un occhio di riguardo per le generazioni future che abiteranno le Terre Alte italiane.

Vittorio Manini