Professione girovago

Aladino Bianchi professione girovago. Così è scritto sopra un certificato a brandelli custodito in una scatola insieme a un paio di foto nel comò di mia madre.
Aladino Bianchi, professione girovago, è il mio bisnonno. Il nome il mestiere e la data di morte sono tutto quello che so di lui. Un’altra foto lo ritrae in mezzo agli altri della compagnia, e lui, omone in canottiera nera e posa da macho, sembra Zampanò ne La strada.
E’ tutto quel che so di lui, perché di loro, dei girovaghi, mia nonna non parlava mai. Si vergognava di quella sua famiglia di zingari. Lei che nei numeri con la fune, la palla e il nastro mostrava a tutti le bellissime gambe, lei zingara dunque, lei donnaccia. Così diceva sua cognata, così avrebbero sempre detto gli altri, ogni giorno, fino alla fine.
Mille sono le storie che negli anni ho ricamato addosso a questa foto, intorno a questa vita zingara, a questo sorriso buono. Un trionfo di storie strabilianti per risarcirlo dell’umiliazione dell’oblio, o peggio, dell’oblio per umiliazione. Mille storie fantastiche allora al posto dell’unica storia vera che nessuno mi racconterà più. E però, a guardarlo, capisco che ne è felice, vedo i colori muoversi, lo sento ridere forte.