Quando il razzismo diventa comunicazione di servizio

Nei paesi del Sud, l’estate è spesso un tripudio di sagre e feste patronali, ma in territori come Puglia e Basilicata è anche la stagione centrale per la raccolta del pomodoro. Qualche giorno fa, ero in viaggio da Roma al mio paese d’origine, in Basilicata, e durante il tragitto in pullman l’autista ha annunciato una sosta dove sarebbero saliti “quelli che vanno a raccogliere i pomodori”, invitando i passeggeri a cambiare eventualmente di posto.

Questo avviso mi ha lasciata completamente basita per il profondo razzismo espresso senza alcuna vergogna e anzi comunicato al microfono come se fosse un’informazione di servizio. Così mi sono avvicinata all’ autista per chiedere chiarimenti e lui, con grande semplicità, mi ha risposto che “c’è gente a cui dà fastidio la puzza dei negri”.

Sulla stessa corsa era a bordo un animale: pare quindi che possiamo viaggiare con i cani ma non con i neri, gli stessi neri senza i quali i nostri pomodori si perderebbero, le nostre terre sarebbero devastate dall’incuria eccetera eccetera. Ci sarebbe molto da aggiungere in proposito, ma quello su cui è urgente riflettere è la profonda arretratezza culturale di quanti contribuiscono a diffondere pericolosi messaggi razzisti e ad alimentare pensieri nocivi e paure immotivate. Nel 2023 sembra che non riusciamo ancora ad affrancarci dagli antichi retaggi di tempi bui.

Capita spesso di assistere a episodi simili, e altrettanto spesso capita di liquidarli come manifestazioni di ignoranza facendo spallucce. E invece non possiamo più permetterci di abbassare la guardia rispetto a tutto quello che contribuisce ad alimentare una cultura divisiva di muri e confini. Da lucana e da italiana del Sud mi sento offesa da chi sta facendo di tutto per rendere inospitale il nostro territorio e snaturare il nostro senso dell’ospitalità. Si tratta di comportamenti vergognosi e inammissibili su cui, oggi più che mai, dobbiamo vigilare. È necessario denunciare e condividere riflessioni in proposito per trasformare una pericolosa percezione della realtà che, in fondo, sembra direttamente connessa al mancato sviluppo del nostro territorio. Perché non esiste sviluppo economico senza emancipazione culturale.