Ultras assassini
Le frequenti notizie di agguati e scontri mortali tra ultras (da ultimo, tifosi del Milan aggradiscono quelli del Psg, uno in pericolo di vita) di recente mi inducono a uno stato di profonda invidia e ammirazione.
Negli scontri tra ultras, infatti, io vedo il trionfo del divertissement pascaliano, una chiarezza invidiabile sul senso e sul significato della vita. Mentre io vago lacerato da dilemmi morali, ricerca di senso, difficoltà delle relazioni, nausea della quotidianità (Sartre), le faide tra ultras mi appaiono come una sconvolgente epifania, una abbondanza di nitidezza e semplicità, una luce che emerge dal caos di una tempesta oscura.
Io guardo a queste persone con invidia. Invidia del livello di consapevolezza e illuminazione direi buddista sulla vita umana, che ha consentito loro di accettare pienamente e serenamente “il sentimento della nullità di tutte le cose” (Leopardi) e invece che esserne devastati, hanno scelto l’unica via possibile. Dedicare la propria vita (letteralmente, poiché il rischio di morte è accettato) ad uno scopo completamente inutile e artificioso (la distinzione tra tifoserie essendo puramente convenzionale). Gli ultrà assassini hanno così realizzato in pieno l’ideale per cui “la felicità non è l’arrivo, la felicità è la strada”.
Io, per me, li guarderò sempre con la malcelata di invidia di chi non è in grado di comprendere, ma solo di ammirare.