Da lesbica coniugata, dico “NO” alle Unioni civili

Da lesbica coniugata, dico “NO” alle Unioni civili

Mi chiamo Conchita, convivo dal 2005 con Manuela, mia consorte dal 2013. Ci siamo sposate a Faro, in Portogallo, ma in Italia siamo solo coinquiline: il nostro status coniugio cessa di esistere varcata la frontiera.
In Italia, Chiesa e Stato non pongono veto al matrimonio se non si è buon credente o buon cittadino.
Nessuno accerta se esiste amore e rispetto nella coppia, o consapevolezza della scelta di vita coniugale.
Violenti, fascisti, razzisti, assassini, evasori fiscali, disonesti, corrotti, stupratori, spacciatori, “papponi”, pedofili, puritani, moralisti, beghini…
Tutti, ma proprio TUTTI sono autorizzati al matrimonio: Chiesa e Stato lo consacreranno.
TUTTI.. tranne gli omosessuali.
Sic!
Se Parlamento e diritto devono normare tutto quello che non è vietato, indubbiamente sono inadempienti ai loro doveri: riconoscere e regolamentare nel giusto modo le famiglie omoaffettive. Dinanzi a tale diserzione, ho accolto con vero entusiasmo l’iniziativa della senatrice Cirinnà che, con un disegno di legge, si è fatta portavoce delle istanze della comunità omosessuale.
Una decisione forte, capace di accendere vivacemente gli animi, dando vita a grandi speranze, ma anche a critiche sterili, inutili polemiche, su una scelta coerente con la visione civile, democratica ed europeista che la senatrice ha sempre dimostrato col suo operato.
Se i propositi erano sicuramente ammirevoli, lo stesso non può dirsi del risultato: parziale, iniquo, incongruo, pasticciato.
Il genuino desiderio di cambiamento della coraggiosa senatrice proponente (cui va tutta la mia stima) è stato svilito dai patteggiamenti di una sinistra in calo di consensi, molto pre-occupata a stilare frettolosamente riforme e troppo disinteressata a verificarne la bontà.
Così, per evitare di scatenare le ire di ecclesiasti, moderati, reazionari, tradizionalisti, conservatori, progressisti, garantisti, laici, ultracattolici, .., la retorica della “politica del fare” procedeva tra bieco ostruzionismo, accomodamenti, compromessi, alleanze, resistenze, sconti, aste al ribasso sui diritti di lesbiche e gay.
Intendiamoci: se la coppia omosessuale è uguale a quella eterosessuale, deve condividere gli stessi diritti, godere di pari dignità ed opportunità.
Proprio per garantire giustizia sociale, coerentemente occorreva un’apertura al matrimonio. Negandolo, non si riconoscono UGUALI diritti, ma si rinnova una discriminazione di genere.
Senza mezzi termini: o si è uguali, o si è diversi.
Ex novo, si introduce nel diritto di famiglia un istituto di diritto pubblico: l’unione civile.
Istituto ad hoc, è riservato ai soli omosessuali: una sorta di istituto speciale che consente alla coppia omosessuale, quale “formazione sociale specifica” di “unirsi civilmente”.
Equiparabile al matrimonio per diritti e doveri che ne derivano, ma da questo diverso (perché diverse sono le norme costituzionali cui si riferiscono), è definita “unione tra persone dello stesso sesso” che però non hanno l’obbligo reciproco di fedeltà.
Questo di fatto svilisce l’unione civile ad unione più instabile e libertina, avvalorando pregiudizi e stereotipi.
Ma è solo una provocazione o qualcosa di più?
L’infedeltà coniugale, prevista nel nostro ordinamento giuridico, serve a tutelare la parte debole della coppia.
In caso di tradimento del partner, si può chiedere l’addebito della separazione. Il giudice, verificato che vi sia un nesso causale tra infedeltà e la sopraggiunta intollerabilità della convivenza, e che il tradimento sia la causa della crisi matrimoniale e non l’effetto, può disporre un ausilio economico: l’assegno di mantenimento e gli alimenti.
Inoltre, nell’unione civile le parti sono tenute a contribuire ai “bisogni comuni” ma non ai “bisogni della famiglia” come nel matrimonio..
Non si tratta di fare discorsi di lana caprina: se non si prevedono questi vincoli, si sancisce che l’unione civile è meno tutelata e meno tutelante del matrimonio.
Inoltre..
Nella Legge 76/2016 come noto è stata stralciata la possibilità di adottare il figlio del partner.
Ritenere che un omosessuale, in quanto tale, non possa adempiere bene al suo compito genitoriale è una posizione culturale che non condivido, non comprendo, ma che ciascuno è libero di pensare.
Pensiero legittimo, ma privato.
Trovo vergognoso però che trovi cittadinanza in uno spazio pubblico come il Parlamento, urlato con toni da “Bar dello sport” da esponenti politici nelle loro vesti di rappresentanti di uno Stato di diritto.
Così, in attesa di una riforma sulle adozioni, occorrerà sperare nella lungimiranza di giudici illuminati, che esistono.. vivaddio!
Doppio sic!!
La Legge 76/2016 inoltre prevede il riconoscimento delle “coppie di fatto” che
beneficeranno di tutele, anche se in maniera blanda, ma a cui saranno preclusi diritti sostanziali (es: diritto a pensione di reversibilità, ai benefìci riservati al coniuge di soggetto disabile, etc.).
Per regolare le questioni patrimoniali ed i loro reciproci diritti e doveri, potranno stipulare un contratto di convivenza dal notaio (a cui pagare un onorario).
Quindi, ora si hanno tre ipotesi diverse:
• Matrimonio, riservato esclusivamente alla coppia eterosessuale maggiorenne (o minorenne se emancipata dal Tribunale);
• Unione civile, riservata esclusivamente alla coppia omosessuale maggiorenne;
• Convivenza di fatto, riservata alla coppia maggiorenne, sia omosessuale sia eterosessuale
Non c’è che dire: una gran bella semplificazione!
Non parificando i diritti/doveri di coniugi, partners di unioni civili e conviventi, si definiscono soluzioni diverse, con caratteristiche proprie, da cui derivano diritti e obblighi differenti.
Risultato: un diritto di famiglia fatto a fette, in cui i magistrati dovranno amabilmente districarsi.
Ma non sarebbe stato più pratico, lungimirante o forse soltanto più logico prevedere, come unica alternativa al matrimonio (riservato agli eterosessuali), l’unione civile aperta ad eterosessuali ed omosessuali?
Paradossalmente, il veto al matrimonio per gli omosessuali e l’unione civile preclusa agli eterosessuali, sono soluzioni entrambe discriminanti.
Discriminanti perché prevedono una disparità sia per gli omosessuali (esclusi dal matrimonio), sia per gli eterosessuali che non vogliono e/o non possono sposarsi (interdetti dall’unione civile).
Eppure un recente sondaggio condotto da IPR Marketing – Resto del Carlino, vede il 74% di cittadini italiani favorevoli al riconoscimento delle unioni civili eterosessuali proprio perché in linea con i nuovi stili di vita familiare.
In Italia, le coppie conviventi more uxorio sono 1.242.434 (dati del 2011, 15° censimento ISTAT). Quindi 2.484.868 persone che, se vogliono acquisire un minimo di visibilità, devono stilare un contratto notarile e non una semplice dichiarazione dinanzi all’ufficiale di stato civile come nel caso di unione civile.
Eppure, volendo, l’impianto normativo dell’unione civile è lì, potrebbe essere esteso anche agli eterosessuali..
Del resto la stessa legislazione europea occidentale si muove in questa direzione, equiparando il matrimonio alle convivenze di fatto, etero ed omosessuali.
Il messaggio della politica sembra essere: “Sei omosessuale? Il matrimonio te lo scordi! E se sei eterosessuale o ti sposi o ti “scazzi”.
E’ fondamentale ricordare che è il cittadino che fa lo Stato, non viceversa.
Lo Stato, attraverso la sua classe politica, si costruisce intorno al cittadino, si plasma tenendo conto della eterogeneità che lo caratterizza, a garanzia dei suoi diritti inalienabili.
Dal politico, democraticamente eletto e rappresentativo di tutti gli elettori, ci si aspetta che “usi la sua intelligenza ed i suoi talenti per compiere il bene comune”.
Nell’adempiere a questo dovere istituzionale non può sostituirsi al cittadino, arrogarsi il diritto di anteporre qualsiasi ideologia personale, credo religioso, fede politica, o codici di comportamento etico e morale, al ben essere della Comunità, soprattutto in ambiti privati come la sessualità e l’affettività.
Questo caratterizza una democrazia rappresentativa..
Non dubito che, come dice la senatrice Monica Cirinnà, trattasi di “miglior testo possibile alle condizioni politiche date da questo Senato”, ma ci si aspettava o, forse, si sperava in maggior coraggio ed imparzialità.
Mettere mano ad un vuoto normativo, soprattutto dopo ripetuti solleciti della Corte europea dei diritti umani, non può ridursi in un “fare”, ma impone un “ben fare”.
Le riforme poste in essere dalla politica non hanno un valore positivo di per sé, lo sono solo se semplificano la vita al cittadino, se lo tutelano, se rappresentano una soluzione ai suoi problemi ed alle sue necessità.
Allo stesso modo dubbi, perplessità o manifesta contrarietà alle riforme, espresse con toni garbati, circostanziati, motivati, non rappresentano un valore negativo di per sé, ma possono rappresentare validi spunti critici di riflessione, di discussione, di analisi.
Una riforma non può essere il risultato di accordi, intese politiche, personalismi, consenso generale..
Una riforma è efficace se interpreta i bisogni di tutti/parte/o ciascuno dei cittadini; se li soddisfa; se garantisce certezza nei diritti; se è chiara e semplice nella sua interpretazione e/o applicazione; ma soprattutto se crea uguaglianza, se promuove solidarietà sociale, sviluppo di civiltà, cultura..
Essere coppia: non solo per se stessi, ma anche per la Comunità. Una sorta di investitura pubblica, la convalidazione di un modo nuovo di essere famiglia.
Sono sicura che le cose cambieranno, ma non sono così ottimista sui tempi come lo è la Senatrice Cirinnà.
Il 20 giugno del 1995, nella evoluta, opulenta e comunista Reggio Emilia, nasceva la “Linea Gaya”. Non si trattava di una chat line ma di una linea telefonica volta a favorire la socializzazione tra omosessuali, il mutuo scambio di idee ed informazioni, il libero impegno sociale.
Ero la promotrice e curatrice dell’iniziativa.
Il clamore suscitato dall’iniziativa e la mia visibilità, causarono prestissimo la rescissione del contratto di affitto ed il mancato rinnovo del contratto di lavoro.
Prima di abbandonare il mio impegno militante, con la collaborazione della Sinistra Giovanile del Partito democratico, si riusciva ad organizzare un convegno dal titolo: “Unioni civili: una nuova famiglia nel XX° secolo”.
Questo accadeva nel 1995.
Sicuramente alle nuove generazioni andrà narrato come era l’Italia quando gli omosessuali erano discriminati. Ma questo solo se e quando ciò non accadrà più.
Nell’attesa faccio mio l’invito che nel 2012 Obama fece alla comunità gay: “Io non vi consiglierei mai di avere pazienza, non è giusto come non era giusto dire alle donne di essere pazienti un secolo fa o agli afroamericani cinquant’anni fa. Dopo decenni di inazione e indifferenza, ora avete tutte le ragioni e il diritto di chiedere, a voce alta e con forza, l’eguaglianza”.

Conchita Nicolao

“Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”
(Sant’Agostino d’Ippona)