Ragazzo autistico si diploma: il mio ‘diverso’ parere
Ho visto come tanti il video del diploma superiore del ragazzo autistico del casertano pubblicato da molti media i primi di luglio. Il video è diventato, come si dice, ‘virale’, ed è stato proposto, o meglio la lettera letta dal ragazzo alla fine è stata proposta addirittura come ‘manifesto dell’autismo’. Nel video si vede un ragazzo dall’aspetto normale per la sua età con un comportamento un po’ alterato, impacciato, imbarazzato, che sotto la guida del suo insegnante di sostegno parla, risponde alle domande, mostra un quaderno su cui si base il suo esame. L’audio non permette di sentire bene ma sembra parlare con discreta capacità, anche se a voce molto bassa. Alla fine legge la lettera famosa dove si sentono delle frasi come “noi autistici non siamo contagiosi” o “abbiamo bisogno di amore”. L’entusiasmo ha coinvolto molti, a partire sembra dalla preside della scuola, ma forse copre un uso un po’ strumentale dell’episodio.
A mio avviso quello che si vede è una scena in cui un ragazzo con un handicap comportamentale mal definibile, sia quanto a sviluppo mentale che per capacità relazionali e di autonomia, fa l’esame di diploma con un programma differenziato e adattato a lui, come prevede la legge, e ottiene un diploma probabilmente di tipo differenziato, come da molti anni succede a ragazzi con handicap inseriti nelle scuole di ogni ordine e grado con programmi variabili in base alle loro capacità. E’ la storia più che trentennale dell’inserimento delle persone con handicap nelle scuole normali, grande orgoglio del nostro Paese in un mondo che ancora in gran parte emargina le persone diverse.
Quello che mi sembra sbagliato e strumentale è di definire quel ragazzo ‘autistico’, visto che probabilmente oggi nella concezione dominante dell’autismo esistono tanti tipi e tanti gradi di ‘autismo’ (termine che vorrebbe dire chiusura in se stessi, ma ormai ne ha perso il significato perché si vedono ‘autistici’ che insegnano all’università, scrivono e pubblicano e fanno conferenze tanto da pensare che non siano ‘handicappati’ mentali), quante probabilmente gradazioni di colore o variazioni di statura nel gruppo delle persone con occhi azzurri.
Nei commenti letti alla notizia una mamma si augura che anche il proprio figlio autistico possa un giorno fare come il ragazzo in questione. Mi aggiungo all’augurio ma appunto la confusione viene dal pensare che la parola autismo indichi persone con caratteristiche simili fra loro e affetti da una stessa malattia. Come si potrebbe dire ad esempio per i trisomici (sindrome di Down, Trisomia XXI) che appunto hanno una stessa patologia e caratteristiche molto simili, anche se storie a volte molto diverse fra loro.
Invece i cosiddetti ‘autistici’, specialmente oggi, sono quanto più possibile diversi fra loro quanto a caratteristiche, storie ed evoluzione e costituiscono un gruppo, o ‘spettro’, quanto mai eterogeneo e mal definito, tanto appunto da far pensare ormai a molti che in realtà non esista questo gruppo diagnostico e si tratti invece di un errore concettuale come quello di voler comprendere in un unico gruppo situazioni diversissime fra loro e con cause e possibilità evolutive diverse.
Anche se certe storie poi possono evolvere verso situazioni finali comuni simili, pur a partenza molto diversa, come si vedeva nei vecchi manicomi dove indipendentemente dalla diagnosi di ingresso spesso le persone diventavano identiche fra loro, a livelli gravissimi di regressione e comportamento. Ciò non per l’identità delle eventuali malattie di base, ma per l’identità dell’ambiente e delle condizioni di vita e di trattamento. E’ la storia che appunto ha portato alla chiusura dei manicomi come luoghi patologici e non di cura.
Così probabilmente la concezione odierna dell’autismo e dello spettro autistico, applicato estesamente nei primi anni di vita a bambini diversissimi fra loro ma con qualche difficoltà evolutiva, può forse essere in sé causa di patologia e di distorsione dello sviluppo, per l’identità dei trattamenti e delle modalità di accudimento ambientale che vengono acriticamente prescritte e che non sembrano spesso rispettose della personalità dei bambini. Mai come in questo caso forse gli interventi fanno o accentuano la patologia, invece che curarla.
Gianmaria Benedetti – Firenze
medico, neuropsichiatra