Il regista Giuseppe Sciarra: senza santi in paradiso
In Italia se non ti chiami Paolo Sorrentino non puoi permetterti la libertà di osare. La maggior parte degli artisti – e ciò non riguarda solo la settima arte – se non hanno un nome conosciuto possono subire una pesante censura in termini di visibilità. Giuseppe Sciarra è un giovane regista di trenta sette anni che non ha santi in paradiso. Collabora con una casa di produzione indipendente ed è lontano da quelle che sono le logiche dei grandi sistemi. Osa tantissimo, artisticamente parlando, ha alle spalle numerosi lavori ma la visibilità che gli ha dato il suo cortometraggio “Venere è un ragazzo” è stata del tutto nuova e inaspettata. Il corto ha avuto molto successo mediatico soprattutto nel mondo lgbtq. Durante il lockdown è stata recensito positivamente da importanti siti della comunità gay, venendo messo in streaming in alcuni di essi. Il successo mediatico ha portato anche a parlare di un argomento piuttosto spinoso, non nuovo a Giuseppe Sciarra, la censura dei festival. Una censura che già ebbe qualche anno fa per un suo precedente lavoro “Iesus Martyr” in cui un ragazzo sulla trentina passava il suo tempo a bere e drogarsi martirizzando la sua esistenza e credendosi una specie di Cristo. Il corto non vinse alcun festival perché Giuseppe Sciarra non era un nome e toccava la religione. Alcuni organizzatori gli dissero che affrontava temi scomodi che dividevano sempre i giurati che erano irritati dalla sua messa in scena spesso cruda e provocatoria. La stessa cosa, adesso, sta avvenendo per Venere è un ragazzo. Il cortometraggio è stato rifiutato da festival nazionali e anche internazionali per una scena in cui uno dei suoi protagonisti, si masturba indossando un crocifisso e pensando a un uomo. Ciò è bastato a far infuriare i soliti bacchettoni di turno che hanno precluso a un ottimo lavoro cinematografico di partecipare a diversi festival di cinema. Alcuni organizzatori hanno fatto capire esplicitamente al regista che il suo lavoro offendeva i giurati e che molti festival non l’avrebbero accettato perché la religione non va toccata. Èmai possibile che nel 2020 un artista debba subire questa censura perché accusato di blasfemia? Tra le righe qualcuno dell’ambiente ha detto al regista che saranno pochi i festival che accetteranno un lavoro così audace e che era meglio non spingersi oltre. Alla fine non è andata proprio così. Venere è un ragazzo è stato presentato con successo da alcuni festival cinematografici, vincendo anche dei premi. Però rimane l’amarezza di essere ostacolati come artisti. La rabbia di dover asservire un sistema che protegge solo i grossi nomi e che vuole limitare l’espressione artistica. Il caso di Venere è un ragazzo deve indignare. Perché se è pur vero che è solo un cortometraggio è uno specchietto per le allodole in merito a un sistema – non solo italiano – che tende a soffocare chi prova a percorrere strada diverse e osa toccare la religione nel caso di Giuseppe Sciarra, il quale tra l’altro ha detto che non si ritiene blasfemo e che le sue metafore vengono fraintese perché vogliono essere fraintese.