Le maestre precarie dimenticate dallo Stato

Della questione diplomati magistrale ormai si parla da anni, quello di cui poco si parla invece è come una lotta per ottenere un diritto si sia trasformata nel tempo nell’ennesima guerra tra poveri combattuta a colpi di ricorsi più o meno costosi e affidandosi all’arbitrio giuridico della giustizia italiana. In 17 anni di precariato come maestra di scuola primaria in una provincia lombarda, tanti eventi si sono succeduti e tante sono le situazioni assurde che si sono verificate.

Stiamo assistendo in questi ultimi anni all’ennesima disparità di trattamento, in una categoria già logorata e annientata senza che lo stato e chi lo rappresenta stia muovendo un dito per evitarla. Le lotte per permettere a noi maestre/i di aspirare a una stabilità in virtù del nostro diploma si perdono nella notte dei tempi e solo nel 2014, grazie alla sentenza di merito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica che ha visto il Consiglio di Stato dare parere favorevole per tutti i diplomati magistrale, abbiamo ottenuto una piccola vittoria.

Sono obiettiva, non voglio sminuire l’importanza di questa traguardo né lo farò, vorrei solo sottolineare il lavoro straordinario, l’impegno e la lotta immane di pochi colleghi che dopo anni di soprusi ci hanno permesso di ottenere un traguardo che meritavamo da tempo (l’accesso alla seconda fascia d’istituto come abilitati in virtù del nostro titolo abilitante) e che la sola giustizia non ci avrebbe mai consentito!

Vengo al dunque. Dal 2014 riusciamo senza distinzioni di sorta a entrare tutti a far parte delle graduatorie d’istituto riservate agli abilitati in virtù del nostro titolo, un misero contentino visto che queste graduatorie ci permettono solo incarichi a supplenze e, per legge, tutti gli abilitati – e dunque anche noi – dovrebbero trovarsi nelle graduatorie provinciali, le cosiddette Gae (graduatorie a esaurimento) create appositamente per le immissioni in ruolo.

Di fatto però i governi che si sono susseguiti sembrano essere rimasti indifferenti al richiamo della correttezza e dell’esplicazione di un diritto, non permettendoci di ottenere la stabilità che avremmo meritato da tempo. L’assurdo viene adesso, in questa triste situazione senza fine. Sì perché la voglia di rivalsa in “virtù di un diritto”, ci ha spinto a rivolgerci ancora una volta ad avvocati, sindacati e associazioni sperando di combattere e vincere a colpi di ricorsi in tribunale contro un’enorme ingiustizia.

Ma l’ingiustizia, ancora una volta, è stata la vera protagonista. Oggi ci troviamo davanti a una realtà incresciosa e deprecabile, perché se la legge fosse stata foriera d’uguaglianza, avremmo dovuto trovarci nelle Gae e aspirare alla tanta agognata stabilità e invece trascorriamo il tempo a dilapidare i nostri risparmi in ricorsi di vario genere (al giudice del lavoro, al Tar, al Consiglio di Stato), affidandoci alla sorte e alla cabala della finta giustizia italiana.

Lo scenario è dei peggiori perché non tutti abbiamo avuto fortuna di trovare giudici illuminati e di vincere un ricorso. Ci sono quindi gli “eletti” che si ritrovano dentro e addirittura hanno ottenuto incarichi e ruolo magari senza aver mai lavorato o con pochissimi anni di servizio e pochissimi punti; i mediamente fortunati (con o senza servizio), che si ritrovano nelle Gae con riserva e aspettano il compiersi del destino con passiva fiducia; in ultimo gli “sfigati“, che, nonostante i sacrifici, gli anni di lavoro, di lacrime e sudore, si ritrovano fuori da tutto e da ogni possibilità di stabilità sia a breve che a lungo termine, anche se magari per un attimo ne hanno accarezzato il sogno ritrovandosi di ruolo ma licenziati subito dopo (la vicenda umana e professionale del collega Alfredo Tarallo in questi giorni in sciopero della fame come forma di protesta nei confronti dell’ingiustizia verso i diplomati magistrale, merita una profonda e attenta riflessione).

Ci chiediamo “perché succede questo?” La risposta è semplice: perché troppo spesso la legge non è uguale per tutti. Mi appello alla politica e a quanti possano davvero darci una mano e risolvere questa annosa e aberrante situazione. Impegni da più parti si sono avuti, lo stesso partito politico con la maggioranza di governo, il Pd, ha presentato un’interrogazione parlamentare dove chiede al Ministro della Pubblica Istruzione “che venga superata questa disparità del diritto e venga concesso a tutti i diplomati magistrale l’ingresso in Gae superando la discriminazione in essere”. La regione Lombardia (la terra che mi ha adottato da anni), ha presentato una mozione patrocinata dal M5s per sollecitare “una risoluzione adeguata alla questione, ritenendo doveroso un intervento politico”.

Attualmente il Governo pare ancora insensibile e non sembra prendere a cuore la nostra situazione e decretare una giustizia erga omnes. Chiedo fermamente che si prenda seriamente in considerazione la vita di migliaia di persone che chiedono solo parità di diritti e trattamento e quindi che questo mio intervento, questa goccia nell’oceano, non cada nell’oblio. Auspico inoltre una tempestiva svolta affinché le maestre/i di tutta Italia possano avere finalmente una giustizia senza distinzione, un merito reale e autentico, una stabilità che tenga davvero conto dell’esperienza, del servizio e dei sacrifici. Non permettiamo ancora una volta che il Governo licenzi in questo modo “le maestre“.
Una maestra precaria
Lorena Fiorito