Lo smart working e la rivoluzione del lavoro

La rivoluzione nel lavoro

Lo smart working conseguenza della pandemia da Covid-19, sta ponendo in evidenza un nuovo metodo di lavoro che allo stato attuale però cozza contro le norme che regolano l’attività lavorativa ed i contratti di lavoro. Con lo smart working vengono quasi eliminati i problemi ambientali che venivano regolamentati dal testo unico sulla sicurezza nel lavoro, vengono eliminate le problematiche inerenti lo spostamento per arrivare nel logo di lavoro e quelle inerenti le pause e la ristorazione, la vigilanza visiva del superiore sull’operato del subalterno, ma in compenso vi è la possibilità di avere una forma di schiavismo e di sfruttamento perché i contratti di lavoro sono impostati con un vecchio sistema dove il lavoratore veniva gestito dal datore di lavoro direttamente. Questo nuovo metodo di lavoro ha la necessità di avere un metodo di lavoro studiato ad oc per ogni mansione nel quale si deve analizzare tutte le peculiarità della mansione, verifica di adeguata competenza dell’operatore per svolgere una determinata mansione, corrispondenza dello stipendio o del compenso alla mansione svolta.

Paradossalmente con lo smart working necessita introdurre un diverso rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, necessita introdurre una responsabilità da parte del datore di lavoro in corrispondenza della responsabilità del lavoratore.

Come esempio si prenda un lavoratore che deve svolgere un lavoro di contabilità. Oggi deve svolgere il lavoro di contabilità per otto ore il datore di lavoro verifica se l’attività è continuativa per otto ore ed alla fine della giornata paga il compenso previsto per quelle otto ore di lavoro come previsto dal contratto di lavoro. Con lo smart working occorre che il datore di lavoro, che non può controllare l’orario di lavoro, deve richiedere un certo numero di pratiche evase, deve indicare il livello qualitativo delle pratiche evase ed a fronte del lavoro svolto deve corrispondere il compenso pattuito non da contratto perché non vi sono contratti di lavoro nazionali predisposti vista la specificità del lavoro richiesto. Questa procedura prevede che il datore di lavoro sappia ingegnerizzare il lavoro da svolgere, sappia scegliere il lavoratore in grado di svolgere la mansione nelle modalità richieste; il lavoratore deve avere coscienza di poter svolgere quella mansione nelle modalità richieste, quindi nella quantità e nella qualità rispondendo di persona di ciò che esegue. Paradossalmente questo nuovo modo di organizzare il lavoro può portare a quella affermazione che oggi sembra essere una utopia quando si afferma che il lavoro costruisce la dignità dell’uomo.

Il datore di lavoro deve essere cosciente di essere imprenditore usufruendo del lavoro svolto da un suo simile quindi riesce a raggiungere il suo obbiettivo se riesce a far lavorare al meglio il suo dipendente, il lavoratore deve riconoscere la sua responsabilità nell’azione del lavoro vedendola nella corresponsione dello stipendio secondo parametri concordati anticipatamente oppure, non riuscendo a raggiungerli, rivedere la propria valutazione.

Queste affermazioni non sono accettate paragonandole a delle bestemmie perché negano una serie di lotte dei lavoratori per la loro tutela, ma occorre riconoscere che erano legittime in un contesto completamente diverso dove il lavoratore era individuato come schiavo o al meglio un servo soccombente per definizione al datore di lavoro più precisamente chiamato padrone. Oggi il lavoratore ha una sua professionalità che il datore di lavoro non può avere e deve metterla a disposizione del mondo del lavoro e più precisamente all’imprenditore per il raggiungimento del suo progetto imprenditoriale. Questo porta il lavoratore a mettere nel mercato del lavoro la sua professionalità assumendosi la responsabilità di ciò che realizza e per far ciò occorre che il committente, il datore di lavoro, definisca la mansione che deve svolgere con parametri quantitativi e qualitativi.

In effetti le norme tecniche e legislative stanno andando in quella direzione, però le regole che condizionano il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore sono inadeguate. Lo smart working necessita di avere una definizione delle mansioni da svolgere ed un metodo oggettivo di valutazione del lavoro svolto per poterlo riconoscere e pagarlo con la stessa logica delle prestazioni prestate da un professionista.

Queste condizioni devono prevedere anche una rivoluzione per il settore previdenziale e per quello contributivo dove, come per i professionisti, diventa un impegno proprio del lavoratore. La legislazione deve essere rivista per evitare che si ritorni alle forme di ricatto tra ricchi (imprenditori – padroni) e poveri (lavoratori – servi) dove il padrone utilizzava il contesto di necessità vitale del povero per proporre rapporti di lavoro da sfruttamento. Corrispondere al lavoratore il lordo attuale perché poi egli stesso dovrà versare quanto di competenza per oneri sociali vari, può pesare ad alcuni imprenditori che spesso usano tali importi come disponibilità per la loro attività per cui paradossalmente sarà proprio questa categoria che si opporrà maggiormente; questa realtà porterà sicuramente ad una riqualificazione delle aziende se non alla scomparsa di molte che non potranno usufruire di tali escamotage per alimentare il proprio business. Scomparirà anche la definizione di dipendente associata al lavoratore, perché datore di lavoro e lavoratore dovranno essere entrambi “dipendenti” uno dell’altro, ma ognuno con responsabilità e professionalità diverse che dovranno vedere il rapporto economico in modo differente, non unidirezionale come adesso dal datore di lavoro al lavoratore il quale dipende dalla volontà del datore di lavoro.

Occorre prestare molta attenzione quindi all’evoluzione dello smart working perché come può essere una probabile causa di riqualificazione del mondo del lavoro e della società, può essere manipolato per mantenere le attuali posizioni di subalternità nel lavoro e nella società.